CULTURA
IL CORAGGIO DEGLI ANTICHI E IL CORAGGIO DEI MODERNI
Eugenia Massari
La filosofia che più di tutte si basa sul coraggio, tanto da potervi essere identificata, è senz’altro lo Stoicismo.
<<Chissà cos’è stato a farlo balzare così d’improvviso? Che sia stata la fame, a renderlo così disperato? O che l’abbia spaventato qualcosa nella notte? Forse ha provato una paura improvvisa. Ma era un pesce così calmo, forte, e pareva così pieno di coraggio e di fiducia. È strano. “È meglio che pensi tu ad avere coraggio e fiducia, vecchio” disse. “Lo stai tenendo di nuovo, ma non riesci a ricuperare la lenza. Presto deve mettersi a rotare.” Il vecchio ora lo teneva con la sinistra e con le spalle e si curvò a raccogliere un po’ d’acqua nella mano destra per togliersi dalla faccia la carne schiacciata del delfino. Aveva paura che potesse fargli venir nausea e allora avrebbe vomitato e avrebbe perso le forze. Quando si fu pulito la faccia si lavò la mano destra nell’acqua, e poi la lasciò nell’acqua salata mentre guardava spuntare la prima luce che precede l’alba>>
(Ernest Hemingway, Il Vecchio e il mare)
Fino all’ultima Grande Guerra gli Europei conoscevano il coraggio. Ad essere mandati sul fronte erano giovani uomini, spesso poco più che bambini. Anche le donne diedero il loro contributo nei teatri di guerra. Non che seminare e arare aspettando il frutto di un duro lavoro, non richiedesse ugualmente una certa dose di coraggio. I primi Greci avevano armato navi per esplorare il Mediterraneo, tracciando rotte e mettendo piede su terre sconosciute. Senza nessuna certezza del domani avevano fondato città. Le esplorazioni di ‘400 e ‘500 avevano ridisegnato l’aspetto del globo, anche commerciare era nel mondo antico un’attività ad altissimo rischio, economico e fisico. Costruire strade, acquedotti, sistemi d’irrigazione, ordinare la campagna, non erano attività calate dall’alto e regolamentate sempre e solo da modelli burocratizzati. Erano azioni reali, concrete, che singoli e comunità compivano in primis per sopravvivere. Discorso valido per tutte le culture umane. Tranne che per la contemporaneità. L’uomo contemporaneo – scientemente alienato a sé stesso e alla natura -, il cittadino della civiltà dei consumi, può essere coraggioso? Nelle culture antiche il coraggio è associato allo sterno e al cuore – dove albergano anima, forza vitale e intelletto -. È rappresentato dal leone, associato al sole e ai simboli delle divinità solari. Come leoni che si abbattono sulla preda, così sono descritti gli eroi omerici. Scene di caccia decoravano gli scudi decorativi, simboli solari e leoni erano associati alla regalità ellenistica. Per i Greci il coraggio è l’andreia. Dalla radice anèr – maschio –, la parola greca è erede delle ancestrali culture militari dove il guerriero rappresenta la figura apice nella società. Nell’Iliade il coraggio è descritto con i tratti dell’andreia: forza d’animo, slancio, il non temere la morte. Insomma, l’impeto. Solare e nobile, come quello di Ettore che difende le mura della città o cieco e mosso dalla collera – che è il lato oscuro del coraggio nell’epica –, come per Agamennone – brama di conquista – e Achille – ira per il bottino che gli viene sottratto, il leso onore dunque -. Perché in un uomo si evinca, per i Greci l’andreia deve essere accompagnata dalle altre virtù. Fra tutte l’intelletto. <<Tidide, nella guerra sei il migliore e sei valoroso e tra tutti i coetanei sei il più valente in consiglio>>, fa dire Omero da Nestore a Diomede. Nell’Odissea inscindibile dal valore militare e sua parte costituente è mètis, ovvero l’intelligenza. Odisseo è chiamato sì distruttore di rocche, divino, ma anche astuto, dal multiforme ingegno.
Simili visioni attraversano il mondo antico a tutte le latitudini, dall’India mitologica dei Mahābhārata al Giappone medievale. Non solo fisico e militare ma metafisico il coraggio richiesto da Krishna ad Arjuna <<Scaglia la freccia Arjuna, un giorno anche Krishna dovrà morire>>. A dare una dettagliata descrizione di questo coraggio arcaico è Platone nel Lachete. <<Per Zeus, non è difficile dirlo, Socrate. Se qualcuno infatti è disposto, restando nei ranghi, a difendersi dai nemici e a non fuggire, sappi che costui è un coraggioso>> dice Lachete. A quest’arcaica idea del famoso generale greco, che Platone rievoca nel dialogo, Socrate aggiunge visione. Il coraggio non è militare, non solo slancio, ma qualcosa che riguarda la conoscenza. Estendendo le virtù militari a tutto l’essere, Platone riconosce il coraggio nella capacità stessa dell’uomo di conoscere e interpretare il proprio stare al mondo, senza retrocedere e senza temere. L’andreia del Lachete è la virtù tutta intera. Dice Platone. La filosofia che più di tutte si basa sul coraggio, tanto da potervi essere identificata, è senz’altro lo Stoicismo. Quello che per i Greci era separato – slancio, coraggio fisico e poi astuzia, intelligenza -, nei Romani confluisce nel concetto del cuore. Audentes – coloro che osano -, fortes – forti – sono chiamati i coraggiosi, coloro che hanno animus, cioè coraggio: la parola si avvicina all’anima, seppur nella sua parte terrena e concreta di animus. La forza, l’osare, non è contro un nemico ma contra fortunam, di fronte alle avversità. Ed è questa visione etica, di derivazione stoica, che permea tutta la cultura europea. Dal tardoantico all’epoca moderna, confluendo nella visione cristiana della virtù teologale della fortezza. Ora il discorso si dilata, dal militare e dal filosofico si sposta allo spirituale, diventando il coraggio dell’uomo di vincere sé stesso. Contra fortunam, nel mare ampio, naviga paziente e resistente l’uomo, nel racconto che Hemingway dedica alla metafora stessa della vita, Il Vecchio e il Mare. Le miserie, le speranze, l’umiliazione, la perseveranza. Al destino duro, cangiante, altalenante che abbatte contemporaneamente restando qualcosa di misterioso, bello e imponderabile, lo scrittore oppone così la stoica ostinazione e la dolcezza del vecchio pescatore. In una cultura umana appiattita alla produzione e alla consumazione, in un momento storico di profonda manipolazione linguistica e nulla dialettico, dove tutto spinge gli individui, fin dalla prima giovinezza a non osare, al distacco dalla vita vissuta come avventura e come reale esperienza… quando tutto diventa discorso, virtuale, realtà aumentata e il cittadino stesso arriva a perdere i tratti della sua dignità per farsi inerme di fronte al potere, insomma, in una cultura così, l’uomo può ancora essere coraggioso?
LETTURE
Lachete. Sul coraggio Platone, ed. Bompiani
Il Vecchio e il Mare Ernest Hemingway, ed. Mondadori
Storia intima della Grande Guerra Quinto Antonelli, ed. Donzelli
RISORSE ONLINE
A sé stesso. Pensieri Marco Aurelio, .PDF