ATTUALITA’
PRIMA DI KAMALA
Bruna Bertolo
Vestita di bianco Kamala Harris, e non per un semplice vezzo di eleganza.
Rimarranno sicuramente una pietra miliare nella Storia degli uomini e delle donne le parole pronunciate da Kamala Harris, prima Vicepresidente “donna” degli Stati Uniti, nel suo primo discorso, dopo l’elezione a Presidente di Joe Biden: “Sebbene io sia la prima donna a ricoprire questo incarico, non sarò l’ultima. Penso a intere generazioni di donne che hanno battuto la strada per questo preciso momento. Penso alle donne che hanno combattuto e sacrificato così tanto per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti, comprese le donne afroamericane, spesso trascurate ma che spesso dimostrano di essere la spina dorsale della nostra democrazia”. Un discorso pieno di significato e di speranze per il futuro (“non sarò l’ultima”), ma anche di profonda conoscenza e di assoluta “ri-conoscenza” per le donne che, negli Stati Uniti, come nel resto del mondo, hanno lottato per il lungo e difficile cammino verso il riconoscimento dei diritti e dei doveri, riconoscimento che, in una Società che tutela tutti i suoi cittadini, di sesso maschile o femminile, deve necessariamente costituire la base di ogni Democrazia. Vestita di bianco Kamala Harris, e non per un semplice vezzo di eleganza. Il bianco fu il colore che rivestì la lotta delle prime coraggiose suffraggette (o suffraggiste) che nel 1912/1913 scesero pacificamente in piazza a New York ad invocare la conquista del voto, la prima grande battaglia, accanto a quella dell’istruzione, per cui le donne si misero in marcia: “Votes for the women”. Ma in realtà la lotta era cominciata molto prima, ancora prima della celebre conferenza di Seneca Falls, avvenuta nel 1848, la prima convenzione dei diritti delle donne: ad interpretare il disagio e le richieste di quella massa di donne senza alcuna possibilità di contare nelle decisioni politiche che segnavano i destini di quel grande Stato, era stata una giornalista, Margaret Fuller, nata a Cambridge, vicino a Boston, nel 1810, una grande visibilità grazie alla sua collaborazione con la rivista “The Dial”, il periodico del Trascendentalismo, movimento culturale che poneva “l’uomo e la sua riscoperta divinità al centro dell’Universo”. Ma a cambiare il destino della Fuller e ad indicare strade nuove per la lotta al femminile, fu un suo libro: “Woman in the Nineteenth Century”, considerato uno dei testi più importanti nella storia del femminismo ottocentesco americano. Il commento di Edgar Allan Poe fu questo: “E’ il libro che poche donne avrebbero potuto scrivere nel nostro Paese e che nessuna donna, salvo Miss Fuller, avrebbe osato pubblicare”. Secondo la Fuller, la battaglia a favore della donna trova i suoi principi ispiratori direttamente nella Dichiarazione dei Diritti del 1776, sorgente basilare di qualsiasi teoria dell’uguaglianza. Scrive in un passo la Fuller: “Vorrei che la donna abbandonasse del tutto l’idea, che per consuetudine nutre, di farsi ammaestrare e guidare dagli uomini. […] La vorrei libera dal compromesso, dalla compiacenza, dalla impotenza, poiché la vorrei buona e forte abbastanza per amare uno solo e tutti gli esseri, a partire dalla pienezza, non dalla povertà dell’essere.” E ancora: le donne devono “ritirarsi entro se stesse ad esplorare i fondamenti della vita fino a che troveranno il loro peculiare segreto. Poi, quando usciranno di nuovo, rinnovate e battezzate, sapranno come trasformare il piombo in oro, e saranno ricche e libere anche se vivranno in una capanna, tranquille anche in mezzo ad una folla.” La donna doveva dunque, secondo Margaret Fuller, ampliare i propri campi di interesse, risvegliare le proprie forze latenti, trovare in se stessa la forza per esprimere compiutamente le sue potenzialità,
senza aspettarsi alcun aiuto da parte degli uomini, ostacolati da secoli di tradizione che avevano messo in secondo piano il ruolo delle donne. Un grande successo il libro, un indubbio “rumore” per le sue dichiarazioni. E per lei l’inizio di un viaggio in Europa che l’avrebbe portata a conoscere a Londra Giuseppe Mazzini e poi a Roma, a difendere la Repubblica Romana, fino alla fine, ricercata dalla polizia pontificia e costretta ad un ritorno in America che l’avrebbe vista morire insieme al suo compagno italiano, Angelo Ossoli, e al figlio Angelino. Ma le sue idee cominciavano a lasciare solchi profondi nel pensiero femminile che la Convention di Seneca Falls aveva per la prima volta evidenziato. Non è certo questa la sede per ripercorrere la lunga storia del femminismo e dell’antirazzismo americano, ma sicuramente tra le grandi “maestre” che possono aver fatto da riferimento al percorso di Kamala Harris ce ne sono almeno due che voglio ricordare, Sojourner Truth (1797 – 1883) e Harriet Tubman (1822 – 1913), entrambe di colore nero, entrambe schiave, entrambe sostenitrici dell’abolizionismo della schiavitù negli Stati Uniti e dei diritti delle donne: contro la schiavitù, contro il razzismo, contro il sessismo. Due figure di riferimento essenziale nella Storia degli Stati Uniti. Harriet Tubman, dopo aver ottenuto la libertà, aiutò centinaia di schiavi a conquistarla e per questo fu anche chiamata “Mosé”: fu addirittura la prima donna a guidare una spedizione armata durante un assalto al fiume Combahaee che si concluse con la liberazione di 750 schiavi. Fu per questo che, fin dagli anni della presidenza di Barack Obama, si pensò a lei come primo volto femminile per una banconota americana: esattamente quella da 20 dollari. Si annunciò infatti l’intenzione di aggiungere il ritratto della Tubman nella parte anteriore della banconota, spostando il ritratto di Andrew Jackson, che vi compare fin dal 1928, nella parte posteriore. Fu una notizia che fece sicuramente il giro del mondo: sarebbe stata la prima donna, e nera di colore, ad essere raffigurata su una banconota. Alcuni volti femminili erano già apparsi sulle monete: quello di Susan Anthony, (1820 – 1906), leader del movimento per il diritto del voto alle donne; quello di Sacajawea, nativa americana della tribù degli Shoshomi, simbolo dell’indipendenza delle donne, che aiutò la spedizione statunitense a raggiungere la costa pacifica; quello di Helen Keller (1880 – 1968, la scrittrice sordo-cieca fin dall’età di 19 mesi la cui storia ci commosse in “Anna dei miracoli”. Mai nessuna però aveva avuto “l’onore” delle banconote. Ma il Presidente Trump affossò il progetto che, secondo quanto si legge sui giornali, avrebbe dovuto realizzarsi nel 2020, in occasione del centesimo anniversario del diritto al voto alle donne negli Stati Uniti. Pare che la “novità” sia stata rimandata almeno fino al 2026 e che la banconota difficilmente possa entrare in funzione prima del 2028. La mia personale e certo modesta opinione? Che il progetto, grazie al nuovo corso di Kamala Harris, possa sicuramente decollare prima e che le parole di Harriet Tubman, pronunciate tanti anni fa, possano trovare un loro “approdo”: “Ogni grande sogno comincia con un sognatore. Ricordati sempre, hai dentro di te la forza, la pazienza e la passione per arrivare alle stelle e cambiare il mondo”.