VIAGGI
IL VIAGGIO COME ARTE NECESSARIA
Guido Barosio
Wanderlust significa letteralmente ‘desiderio di vagabondare’, passione irrefrenabile per il viaggio e per tutto ciò che al viaggio si collega.
L’uomo è una specie nomade e questo ha segnato il suo destino. La start up africana lo ha portato, in un percorso di milioni di anni, a spostarsi per strette necessità alimentari attraverso i continenti. Raccoglitore e cacciatore doveva muoversi, solo la scoperta dell’agricoltura, molto più tardi, rese interessante l’insediamento. Ma neppure troppo. Anche dopo la conquista umana del pianeta ogni civiltà meritevole di essere ricordata ha guardato oltre, dando seguito ad un principio fondante: solo i popoli nomadi sono portatori di novità, energie, saperi e cultura. Per gli stanziali sconfitte e sottomissioni. I vincitori hanno scritto la storia: macedoni, romani, arabi, gli spagnoli e gli inglesi dei grandi imperi. Le armi sono sempre arrivate dopo l’ossessione per la scoperta: l’uomo, ‘creatura ovunque’ del pianeta, nell’epoca delle grandi esplorazioni ha marciato a ritroso, andando a riacciuffare ciò che aveva abbandonato milioni di anni prima. Necessità e ansia di dominio, ma anche patologia. L’esploratore era sovente un resoluto folle, pronto a mettersi in gioco, vita compresa, con mezzi spesso inadeguati: Colombo come Livingstone, Scott come Umberto Nobile, Pitea come Marco Polo. Persino gli astronauti americani che andarono sulla Luna sfidarono il destino accomodandosi in un capsula grande come una cantina, sotto un razzo enorme, per completare la missione su un traballante baracchino e scendere in landa selenita. A seguire il ritorno a casa compiendo il percorso inverso. Dei pazzi. Ma, oltre al DNA originario, c’è anche una spiegazione clinica, che da quel DNA originario deriva. La patologia ha per nome sindrome di Wanderlust, e significa letteralmente ‘desiderio di vagabondare’, passione irrefrenabile per il viaggio e per tutto ciò che al viaggio si collega: programmazione, desiderio, fuga, irrequietezza, cancellazione di ogni soglia nel rischio, appagamento solo momentaneo e irrefrenabile desiderio di ripartire. Gli studi sono concordi nell’identificare il ‘gene del viaggio’, denominato DRD4 7R, il recettore della dopamina D4 che regola il livello di curiosità e rende sensibili agli stimoli esterni. Il merito della scoperta va diviso tra David Dobbs e Chaunsheng Cheng. Ma la sindrome di Wunderlast era già nota, anche se non ancora classificata, nell’Ottocento. Ci furono casi di viaggiatori compulsivi che abbandonarono lavoro e famiglia all’improvviso. Una volta riacciuffati, dopo qualche settimana di tregua, ripresero la via della fuga, e così più volte, per la costernazione di amici e parenti. Eredi di Colombo e precursori di Armstrong, solo meno celebri. Ma forse l’elemento più interessante degli studi condotti recentemente riguarda il patrimonio genetico della sindrome. Perché il Wunderlast è un tratto più facilmente rintracciabile proprio nelle popolazioni che discendono dagli antichi migranti africani. Siamo quindi fronte ad una forma ereditaria che è scolpita nell’uomo a partire dai primi nomadi: i cacciatori raccoglitori che colonizzarono il pianeta. Per il viaggiatore moderno questa avventura epocale, che ha attraversato la civiltà umana come una lama saracena, si traduce in una ossessione gentile, che pare possa ammaliare circa il 20% dell’umanità.
Sin troppe cose si sono dette e scritte sulla differenza tra turista e viaggiatore. In realtà il turismo è un fenomeno schiettamente imprenditoriale, che sostanzialmente confeziona un prodotto partendo da un bisogno. Il turista abdica all’organizzazione: sceglie, compera e consuma. Il viaggio come una lavatrice, garanzia compresa. Il viaggiatore – debitore e ostaggio consenziente del Wunderlast originario – invece fa per conto suo: immagina, seleziona, mette mano all’itinerario, sceglie quello che gli serve sul mercato (come nei bazar e nei porti oceanici dei secoli scorsi), decide consapevole che può sbagliare (ma in fondo se ne frega) e poi parte come fosse la cosa più bella da fare al mondo. Per tornare torna, ma mai volentieri. Insomma, esercita una forma d’arte necessaria ai suoi bisogni. Il viaggio contemporaneo toglie e aggiunge allo stesso tempo. Anche solo ai tempi di Chatwin si partiva di meno, i tempi erano molto più lunghi ed i costi considerevolmente più alti. Il Wunderlast del XXI secolo il mondo se lo può girare tutto, sovente e a costi modesti, con la rete pronta ad offrire un grande catalogo dell’ovunque. Virus e terroristi, entrambi globali, sono le brutte sorprese in agguato. Imprevedibili, quindi inutile pensarci. Meglio oggi quindi? Anche no. Perché non si può resistere alla seduzione della ‘voyagenostalgie’. In questo momento ho tra le mani la Guide Hachette ‘De Paris a Constantinople’, edizione primi del Novecento, un mito tascabile. Delle 465 pagine solo 225 sono dedicate a Istanbul. Il resto se ne va per il viaggio: Trieste, Vienna, Budapest, Belgrado, Sarajevo Spalato, Ragusa, Atene, Salonicco, Monte Athos, e, dopo la meta principale, estensione dell’itinerario verso Cipro. Durata, un numero imprecisato di mesi. Le guide del tempo non descrivevano la meta, ma il viaggio. E il viaggio era il tempo necessario per raggiungere il luogo, un tempo fatto di soste e di conoscenze, di incontri e di esplorazioni, di tante tappe, previste e non. Le guide di allora erano capolavori di cartografia miniata, di cultura divulgata, di informazioni testate che diventavano patrimonio condiviso. Abbiamo perso per sempre quelle guide e quei viaggi sono morti con loro. Possiamo solo preservarne lo spirito e l’attitudine, comprendendo che l’aereo aiuta ma annulla, che oggi ci si muove per destinazioni senza raggiungerle apprezzando quello che sta in mezzo. Ma il viaggio sarà sempre carovana, astronave e vascello per i Wunderlast più tenaci. Ce lo rammentano i pionieri della Luna, i navigatori oceanici sui gusci di noce ed il piacere per la storia. Ma soprattutto lavora per noi DRD4 7R, quel ‘gene del viaggio’ che ci connette all’Africa vagabonda dei primi misteri. E adesso quando si parte?