EDITORIALE
GIORNALISTI, TRA ORIZZONTI INCERTI E SCELTE AUDACI
Guido Barosio
Il lettore, il fruitore, nella maggior parte dei casi è completamente indifferente al confronto, per lui conta il prodotto, punto e basta.
La storia vive di improvvise, quanto imprevedibili, accelerazioni. Ed è allora che tutto cambia per non essere più come prima: valori consolidati, percorsi accertati, opportunità, certezze. La ‘tempesta perfetta’ del nuovo può prendere le forme più diverse: conflitti epocali, cataclismi naturali, epidemie, ma anche rivoluzioni sociali e tecnologiche, repentine trasformazioni economiche, scoperte scientifiche in grado di modificare strutturalmente la società. Negli ultimi trent’anni la comunicazione ha vissuto (o subito…) questo fenomeno in modo profondo e irreversibile. E oggi ci troviamo di fronte alla più formidabile fase innovativa dai tempi di Gutenberg. La rete ha creato, per la prima volta nella storia, un sistema binario che ha scardinato la logica unidirezionale dove ‘l’informatore’ – in principio fu l’aedo, poi il primo scrittore del mondo alfabetizzato, poi l’autore di storie e poemi, dopo ancora i cronisti che seppero diventare giornalisti, ed eccoci a noi – ha indirizzato per millenni la propria verità al ‘ricevente’; che ascoltava, leggeva e, in qualche modo, subiva. Internet invece mette in campo la rapidissima risposta, l’interazione, il commento, così tutto cambia. E poi, negli ultimi dieci anni, la deflagrante affermazione dei social media ha creato milioni di antenne, di soggettività divenute, a loro volta, media personalizzati. Volendo possiamo aggiungere che la trasformazione ha coinvolto, modificando radicalmente, anche la televisione, diventata satellitare e digitale, quindi un’altra cosa. I profeti di sventura da anni paventano, sbagliandosi clamorosamente, la scomparsa della carta. Niente di più falso, la storia della comunicazione ci racconta di uno scenario dove nessun media ha mai cancellato il precedente: la radio non uccise i giornali, la televisione non eliminò la radio ed i quotidiani, la rete non spazzò via i suoi predecessori. Ma le gerarchie, quelle si, possono cambiare. A fronte, comunque, di un aumento esponenziale dei fruitori (e oggi potremmo dire degli autori), perché oltre metà della specie umana oggi dispone di uno smartphone collegato con tutto. Mai stati così tanti, mai stati così tecnologicamente alfabetizzati. All’alba del terzo millennio, piaccia oppure no, siamo tutti un media. La carta regge il colpo, ma – sorpresa – è il buon vecchio libro a cavarsela meglio. I dati dell’ultimo anno ci parlano, in Italia, di un aumento di vendita delle copie pari a circa il 25%. Per i quotidiani non è andata altrettanto bene, anzi, si ripiega su tutta la linea del fronte. Si potrebbe dire, forzando il concetto, che lo scrittore ha vinto sul giornalista la battaglia del gradimento. Ma che cosa è oggi un giornalista? E, elemento ancora più rilevante, che cosa sarà in futuro? Purtroppo il quadro generale della nostra professione in Italia non sembra essere adeguato alle nuove sfide per mentalità, per regole, per cultura e conoscenza. Il mercato ci parla di una stampa mainstream in forte crisi dal punto di vista commerciale (poche copie vendute, stallo delle risorse pubblicitarie), con organici che non rispondono, per competenze e numero, ad una realtà in rapidissima evoluzione. Per contro sembra godere di salute migliore la stampa periodica, in particolare quella che punta su uscite rarefatte nel tempo (bimestrali, trimestrali) e su nicchie di interesse ben identificate. Inoltre è proprio la stampa periodica a rappresentare un laboratorio interessante dal punto di vista organizzativo: ‘bagaglio leggero’ nell’organico, business plan semplici e rigorosi. Il mondo del web indipendente è invece la nuova frontiera, ma anche un far west privo, o quasi, di regole e di tutele su tutti i fronti. Oggi propongono informazioni e notizie sostanzialmente tre soggetti distinti: i giornalisti professionisti – che hanno sostenuto l’esame dell’Ordine e rispondono, o ambiscono, al contratto nazionale – i giornalisti pubblicisti – iscritti all’Ordine dopo due anni di attività, sostanzialmente i liberi professionisti del settore, molti con partita IVA – e i comunicatori non iscritti all’ordine: blogger e influencer, per quanto queste definizioni siano liquide e sfuggenti, in gran parte giovani o molto giovani, nativi digitali a tutti gli effetti. Da questo quadro se ne evince che i giornalisti (professionisti e pubblicisti) rispondono a deontologia e regole, mentre ‘gli altri’ agiscono sostanzialmente in piena libertà. Ed è come se, in un campo di calcio, due squadre si confrontassero partendo da codici e presupposti totalmente differenti, persino contrapposti, ma con lo stesso fine: segnare un gol agli avversari.
Il lettore, il fruitore, nella maggior parte dei casi è completamente indifferente al confronto, per lui conta il prodotto, punto e basta. L’oggetto della contesa è, inevitabilmente, economico. Il tema stringente è quello delle fonti di sostentamento. Per il giornalista la fonte di reddito dipende dall’editore, dai suoi bilanci, dalle sue scelte imprenditoriali. E poco aiuta la presenza di gruppi editoriali come GEDI, dove coesistono testate un tempo concorrenti (è il caso di Repubblica e La Stampa), radio, giornali on line e siti di informazione. Sarebbe come se, per restare nelle metafore calcistiche, Inter, Milan e magari Juventus avessero il medesimo proprietario. Sarebbe un gioco drogato? Certo, ma nel giornalismo questo non conta. Nel mondo dei blogger e degli influencer la distinzione tra informazione pubblicitaria e ‘notizia accertata’ è un foglio di carta velina, le regole sono poche, confuse, regolarmente trasgredite. Il comunicatore sul web – che spesso lavora da solo, facendo tutto o quasi – si trova autonomamente i propri clienti e li promuove liberamente sui propri mezzi. Accesso alla professione? Anche qui tutto è cambiato. Il giovane che ‘voleva fare il giornalista’ fino a dieci anni fa vedeva nell’iscrizione all’Ordine il proprio obiettivo. Oggi non più, oggi ha delle alternative, anzi vede alternative di successo ben dispiegate sul campo. Perché dovrebbe inseguire un tesserino che gli impone regolamenti piuttosto datati, deontologia che non conosce e non comprende, in più tanti vincoli? Noi viviamo in un mondo dove ad un giornalista viene impedito di svolgere attività pubblicitaria (ad esempio comparire in un campagna ADV) anche lontano dal proprio settore di interesse. E questo ci potrebbe anche stare. Ma come la mettiamo con i social media? Se un collega, in forma privata, compare in un ristorante o stringe la mano alla chef è sanzionabile oppure no? Mistero. Come vedete la realtà oggettiva ha scavallato le regole e complicato le procedure. In più occorre alzare lo sguardo. Secondo un rapporto pubblicato dalla Commissione UE e redatto dal Centro Europeo per la Libertà e il Pluralismo dei Media. “Il sistema dell’iscrizione all’albo dei Giornalisti può essere interpretato, sulla base degli standard internazionali, come un ostacolo ingiustificato da superare per accedere alla professione”. Perché: “L’accesso deve avvenire sulla base di criteri oggettivi, proporzionati e non discriminatori”. Siamo vecchi, dobbiamo cambiare, e dobbiamo farlo in fretta. Io sono personalmente convinto dell’indispensabilità dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti: comunque un punto fermo per l’informazione libera, corretta e tutelata. Ma bisogna pensare, con creatività e coraggio, ad una rifondazione, ad un nuovo sistema di regole adeguato ai tempi, in grado di anticipare il futuro e non proteso a tutelare il passato. Occorre pensare non solo più a vecchie garanzie contrattuali obsolete, che stratutelano una minoranza, sempre la medesima, per cominciare ad essere attrattivi verso le nuove generazioni, la nostra linfa vitale, prima che queste trovino alternative lontane da ogni regola, deontologia e professionalità, che non sia quella dell’apparentemente facile ricerca del profitto. L’eterna, e anche in questo caso obsoleta, schermaglia tra professionisti e pubblicisti deve andare in soffitta. E’ una battaglia di retroguardia: il professionista non è più quello degli Anni Sessanta – per numero, per età e per mansioni svolte – mentre il pubblicista oggi è, nella maggior parte dei casi, un ‘giornalista libero’, che avrebbe molto da insegnare, perché per primo ha compreso le necessità e le opportunità di una professione che si è inesorabilmente evoluta. Ragionare in termini di ‘praticanti’ e precari’ – parole che vengono ancora snocciolati come in un novella del Boccaccio, che suona bene ma è antica – allontana ogni credibile soluzione, è un ricorso all’archeologia quando, consultando lo smartphone, si scopre che i numeri veri li fanno blogger ed influencer. Ci sono nodi da sciogliere, la visione deve essere audace, il linguaggio inclusivo. Ho il tesserino dell’Ordine dal 1984, sono pubblicista, ho diretto testate con professionisti, sotto la mia direzione sono diventati giornalisti (in entrambi gli elenchi) molti giovani e ancora di più donne. Ho visto la nostra professione cambiare e la amo ancora come il primo giorno. Ma vorrei che il nostro mondo esprimesse un unico soggetto: il Giornalista, che è un professionista di cui non si può fare a meno, per le notizie che scrive ma, ancora di più, per il concetto di libertà che interpreta e propone.