SOCIETA’

CHERCHEZ LA FEMME!

Mara Antonaccio

Esiste ancora una “ginecofobia” di base, che neppure il Femminismo e l’emancipazione  attuale riescono ad eradicare completamente.

Siamo all’inizio di un nuovo secolo, meglio, di un nuovo millennio, come solitamente si fa in corrispondenza di questi passaggi epocali, è il momento dei bilanci, oltre che delle previsioni per il futuro, inoltre le elezioni americane ci hanno regalato un donna vice presidente: Kamala Harris, e in questo fermento di valutazioni e avvenimenti, è opportuno parlare di donne. Nel farlo, sembra incredibile, ci si accorge che non moltissimo è cambiato negli ultimi decenni, nonostante dal movimento delle Suffragette sia passato più di un secolo e oltre cinquant’anni dal Femminismo e nonostante vi siano lenti cambiamenti nelle alte sfere di alcuni stati nel mondo. Perché ancora continua la scarsa considerazione della figura femminile, sia in campo culturale, che politico, che sociale? Dopo secoli, anzi millenni di persecuzioni, odi, antipatie e tabù, possibile che sia cambiato così poco? Ma da dove nasce tutta questa paura? La scienza ha da tempo acclarato che la Natura è femmina, poiché la cellula come unità base di un organismo vivente, è in grado di replicarsi autonomamente, quindi è femmina tout court e conserva in se una totipotenza spaventosa. Nei lunghissimi millenni che dagli Ominidi hanno portato all’Homo Sapiens e alla scoperta del fuoco, il ruolo dei sessi si è specializzato e adattato alle necessità evolutive: i maschi cacciavano, le femmine raccoglievano i vegetali, modificavano il cibo e si occupavano della prole. Il cervello crebbe, si costruirono i primi utensili e si elaborò il linguaggio. Grazie alla suddivisione delle mansioni, le femmine aumentarono la superficie della corteccia cerebrale per gestire le attività manuali e relazionali, a scapito dei neuroni motori. Il corpo dei maschi era massiccio e resistente agli sforzi immediati, quello delle femmine capace di reggere gli stress prolungati (partorire non è facile neppure ora, figuriamoci milioni di anni fa). La divisione dei compiti modificò la vita sociale; inizialmente i clan erano composti da maschi ”alfa”, che avevano harem di femmine, e da gregari, non c’erano ancora famiglie distinguibili. Quando in epoche più recenti (14.000 anni fa) l’Uomo, diventando stanziale, iniziò a praticare l’agricoltura e la pastorizia, aumentò la disponibilità di cibo e si accumularono “le proprietà”, cioè le derrate alimentari, gli strumenti per gestirle e i luoghi per stoccarle, e con essi la necessità di individuare chi ne fosse l’erede. Allora nacque la coppia definita, le unioni “certificate” dalla comunità e la sicurezza sulla paternità dei nuovi nati, che avrebbero avuto “la roba”. Con la famiglia nacquero i tabù sessuali, necessari non solo a garantire la discendenza, ma anche a gestire la forza lavoro necessaria in una società umana complessa: capi, gregari, soldati, ministri di culto, agricoltori, pastori e artigiani, ognuno  con un ruolo stabilito. La società primitiva era già maschilista, poiché dei maschi erano i ruoli pubblici e di rappresentanza, mentre la donna si dedicava alla sfera privata e affettiva. A tutto questo, sin dalla notte dei tempi, si aggiungeva l’aura magica che circondava la femmina, cui erano riconosciute capacità inspiegabili: il suo sesso sanguinava ogni mese ma inspiegabilmente non moriva, la vagina ingoiava il pene turgido, simbolo della possanza e della fertilità, e lo restituiva flaccido (privando il maschio di una manifestazione di potere) e in conseguenza di questo atto, concepiva e dava la vita. Come non comprendere i maschi? L’idea che la donna fosse magica si radicò e quando si arrivò alla creazione dei tabù, la poverina ne divenne l’oggetto principale. La sessualità ne fece le spese maggiori e in quasi tutte le società umane il piacere fu precluso alle donne, se non in conseguenza di specifiche concessioni. La vagina ha sempre fatto paura ai maschi ma il periodo peggiore iniziò con le Grandi Religioni, che mortificarono il ruolo della donna, quasi ovunque. La Bibbia attribuisce ad essa il peccato originale e la capacità di gettare scompiglio nel Paradiso terrestre. Per l’errore di Eva, Adamo si ribella a Dio e Questi marchia con l’infamia tutte le figlie di Eva; in che modo la donna traviatrice poteva espiare cotanta colpa? Di lei non si poteva fare a meno, pena l’estinzione della specie e allora si è pensato di colpirla nella sfera sessuale: non le è concesso vivere il sesso con piacere ma solo per dovere e per procreare e quando dovrà far nascere il frutto dell’amplesso, dovrà farlo soffrendo. “Tu donna partorirai con dolore”, questo recita la Bibbia, la maternità è il supremo sacrificio e per la donna la sofferenza rappresenta una continua espiazione. Il dolore fisico viene assimilato al dolore spirituale, il primo porta alla guarigione dell’anima, il secondo al pentimento. Soffrire durante il parto è ancestralmente  un rito di passaggio, di iniziazione, da doversi suggellare con sangue e dolore, poiché dovendo per forza soffrire, meglio essere capaci di farlo. Ogni donna deve dimostrare di poter partorire, proprio come le madri e le nonne,  deve meritarsi il ruolo di madre; una sorta di esame di abilitazione che rilascia il patentino di donna perfetta. Perché le donne devono dimostrare sempre qualcosa, devono sacrificarsi e soffrire, pena la diminuzione del loro valore, anzi, pena la giustificazione della loro presenza nel Creato. Il Cristianesimo dice che essa non ha voce in capitolo e non ha diritti legali: «la donna è frivola, stupida e ignorante» (Bibbia, Prov. 9: 13). Anche l’Islam non scherza e il profeta Maometto afferma: «Ho visto che la maggior parte […] nel fuoco dell’inferno sono donne… [Poiché] esse sono ingrate verso i loro mariti e deficienti in intelligenza e religione. Esse sono pericolose e impure nei loro corpi e nei loro pensieri. Io non tocco la mano delle donne e bisogna impedire loro d’imparare a scrivere». Nel periodo medioevale alle donne vennero addossate le peggiori responsabilità di malattie, disgrazie e ingerenze diaboliche e iniziarono le persecuzioni, che portarono alla caccia alle streghe dell’Inquisizione. Nell’iconografia di quel periodo la porta dell’Inferno era spesso rappresentata da una vagina dentata e questo la dice lunga sulla concezione futura del ruolo femminile. La vagina e per conseguenza la donna, spaventava e lo fa ancora nella società attuale, nonostante il richiamo alla sfera femminile e sessuale sia onnipresente ai giorni nostri; millenni di paure non si cancellano neppure con la tecnologia, il progresso e i Media. Esiste ancora una “ginecofobia” di base, che neppure il Femminismo del XX secolo e l’emancipazione del periodo attuale riescono ad eradicare completamente, si assiste ancora alla considerazione positiva del ruolo della donna nella società, solo se legato alla funzione naturale di sposa e madre, considerata sia come dimensione fisica che spirituale.

Una delle domande più comuni fatte ad una donna è: ”hai figli? Si?”, bene: “Non hai figli?, ma ne vuoi?” E se la risposta è no, la si guarda male, come se rivendicare la propria autonomia riproduttiva sia peggio del peccato originale. Veniamo ora ai comportamenti femminili, quando una donna manifesta disappunto in modo energico, alza i toni o non si rapporta all’uomo in modo sottomesso e condiscendente, si sente dare “dell’isterica”; si tratta di un retaggio generato dai pregiudizi maschili, non per niente l’isteria è stato il primo disturbo mentale attribuito solo alle donne. Un cliché consolidato, che vede la psicologia come strumento per ottenerne la liberazione, peccato che isteria e femminino non coincidano, chi glielo dice a Freud? Le donne sanno che possedere un utero non è cosa semplice, ci sono giornate in cui si è sensibili come corde di violino e si reagisce per un nonnulla, atteggiamenti che stimolano battute legate al ciclo mestruale; giustificare certi atteggiamenti con gli ormoni è riducente, come se la capacità di discernimento, la complessità  della persona dipendessero da quello che succede nella pelvi! L’“isteria” è una malattia inventata per ridimensionare, imprigionare e rendere “sbagliata” la condizione femminile. Il termine “isteria” deriva dal greco hysteron, che significa utero. Secondo Ippocrate, è l’utero la causa di tutte le malattie delle donne; egli lo ritiene un corpo asciutto e cavo, predisposto ad assorbire liquido, che espelle con il sangue mestruale. Per questo la donna avrebbe continuamente bisogno del coito, che ha la funzione di riequilibrarne l’umidità. Quando questo bilanciamento viene meno, l’utero provoca dolore, sensazione di soffocamento e di confusione mentale. Grazie a questa interpretazione adattata ad hoc, per la medicina l’isteria divenne una malattia esclusivamente femminile, che provocava convulsioni, paralisi, ansia, depressione, mancamenti, e quest’idea rafforzò la misogina. Dalla fine del Medioevo e per tutto il Seicento fu associata alla stregoneria e i suoi sintomi erano prova della possessione demoniaca. Nell’Ottocento le cause ginecologiche vennero abbandonate e si iniziò ad indagare quelle neurologiche. Erano gli anni del Positivismo e la separazione tra mondo il maschile e femminile fu sancita sulla base di principi “naturali” e “biologici”. Sigmund Freud ricondusse l’isteria alla repressione del desiderio sessuale, eliminando definitivamente le teorie legate all’utero. Egli fece ricerche su pazienti di entrambi i sessi ma stabilì che si trattasse di una malattia prettamente femminile, perché la repressione del desiderio è associata al ruolo sociale della donna. Nell’Ottocento i medici curavano i suoi sintomi con la masturbazione clitoridea o vaginale, con conseguente parossismo isterico (non denominato orgasmo, poiché si credeva che la donna non provasse piacere, a tal proposito consiglio di vedere il delizioso e ironico film americano del 2011,  “Hysteria”, che racconta il tema in modo leggero) e questa pratica fu molto in voga in Europa e negli Stati Uniti nell’epoca vittoriana. Il vibratore fu uno strumento elettro medicale inventato verso fine ‘800 per curare i sintomi isterici. Molte donne isteriche venivano segregate in casa, quelle che manifestavano sintomi neurologici e psicotici come epilessia o depressione, venivano rinchiuse in manicomio o sottoposte a isterectomia e/o clitoridectomia. Nonostante gli studi psicologici, questa malattia continuò a essere diagnosticata e trattata medicalmente fino agli anni Cinquanta, quando fortunatamente le diagnosi di isteria crollarono, a favore di quelle di altre sindromi psichiatriche. Nel 1980 la nevrosi isterica venne eliminata dal Manuale dei disturbi mentali, ma non sparì il pregiudizio secondo cui le donne sarebbero guidate dal loro utero. Questo luogo comune si fece sentire in molti ambiti, persino quello politico; questa argomentazione fu usata contro il suffragio femminile, perché le donne  erano considerate instabili nelle scelte e quindi non potevano votare. Una vergogna tutta italiana permise che fino al 1963 la donna non potesse accedere al concorso in magistratura, perché: “è fatua, leggera, superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testarda, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal ‘pietismo’, che non è la ‘pietà’ e quindi inadatta a valutare obbiettivamente”: isterica. La natura femminile è stata studiata e definita da principi e poteri maschili,  l’isteria è stata uno strumento per radicalizzarne l’inferiorità intellettuale, fisica e morale, per rinchiuderla, controllarla e renderla malata a prescindere. Questa visione della femminilità relega ad una condizione di nevrosi, aggressività e desideri repressi e sono ancora molti a credere che l’universo femminile sia gestito esclusivamente da “ormoni e da istinti misteriosi”. Tutto ciò dice tanto sul modo in cui viene considerata la sessualità femminile e di quanto di questo retaggio culturale ci portiamo dietro; in primo luogo ribadisce che piacere e desiderio non esistevano fino al XX secolo, tanto da tirare in ballo la follia e che in molte culture attuali, come quella islamica deteriore, che trova pabulum tra le masse più povere, il piacere femminile non esiste, anzi è un tabù, per questo si praticano  ancora infibulazioni, lapidazioni e incarcerazioni. Etichettare è stato un modo per tenere a freno le donne, controllarle, condizionarle, considerarle corpi di carne destinate al desiderio maschile, come brave mogli e madri. Tocca constatare che questi significati non sono sorpassati; oggi i temi della sessualità, delle mestruazioni, della menopausa, cioè quelli che riportano all’utero, sono centrali nell’interpretazione del comportamento e dell’animo femminile. Per concludere questo percorso nei termini e nella sostanza, perché anche nella società odierna resistono le etichette e i giudizi? Non sarà per nascondere la crisi di identità più grave dell’evoluzione umana? Forse si. Stiamo vivendo in una società in crisi tanto di “femminile”, quanto di “maschile”; mancano individui consapevoli di quale contributo possono dare ad un sano rapporto di coppia, per una società sana. Come uscire da questa condizione di stallo e riportare ognuno a ricoprire il proprio ruolo, nel rispetto e nella stima reciproca, per una  naturale differenza di genere, che possa arricchire entrambi i sessi? Si accettano proposte…