La chiamavano la Venere nera, la bella creola con la pelle color ambra antica, al secolo Freda Joséphine Baker, venuta da un’America difficile per lei, quella del proibizionismo dei primi anni del ‘900, quella del colonialismo, del razzismo, della discriminazione, quell’America che mai la amò e che lei combatterà, nata nel 1906 in un quartiere poverissimo di Saint Louis, nel Missouri, non voluta dalla famiglia del padre naturale perché i suoi avi materni furono schiavi ma ricca di una bellezza e di una forza interiore che la porteranno a conquistare le platee di tutto il mondo, fino a diventare una delle più grandi protagoniste del mondo dello spettacolo del ventesimo secolo.
L’impresa non è facile, per tante ragioni. Ottenere un’intervista da Totò, che dimora da oltre mezzo secolo nell’aldilà, è quasi impossibile: tanto per dire, quando era in vita, di interviste ne concedeva di rado, molto di rado. Totò è il comico italiano più popolare di sempre, uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano. Una carriera strabiliante e intensa, sul palcoscenico 53 spettacoli teatrali, 97 film, un film come doppiatore (La vergine di Tripoli, del 1947), 5 film come sceneggiatore, attore televisivo, 16 caroselli, molte apparizioni in televisione, premi, una laurea honoris causa e tante onorificenze.
Una mattinata gelida, di quelle che non invitano a uscire di casa e fanno pensare che sia opportuno rifugiarsi in cucina, per compensarsi con qualcosa di buono e calorico. Non c’è scelta e, considerati gli elementi a disposizione, ho deciso per una carbonara generosa. Spaghetti di ottima marca, pancetta appetitosa subito messa in padella a soffriggere, l’acqua a bollire, tre uova, parmigiano. Una voce decisa, quai seccata, mi fa sobbalzare: “Ma cosa fai! Cosa fai! Via il parmigiano! Tira fuori un pecorino romano ben stagionato!”
Uno strano autunno, il primo dell’era COVID direbbe lo storico, l’abbassarsi della temperatura annuncia l’inverno imminente. Per sfuggire a queste ovvietà mi sono rifugiato tra i libri, ho preso in mano uno scritto di Svevo, un librettino e poi: “dormi? Sono qua e tu dormi!”
Il 15 giugno 1920 nasceva a Roma Alberto Sordi in via San Cosimato 7 a Trastevere, si può dire nel cuore della città eterna. Quella casa non esiste più, ma a quell’indirizzo c’è una targa che lo ricorda. Si poteva non intervistarlo? La risposta è scontata, così sono tornato dall’amica versata nelle arti evocatorie, ci siamo messi subito all’opera, e, dopo una ventina di minuti, lei mi ha detto:
Venti anni fa moriva Vittorio Gassman e ora devo incontrarlo in un’intervista immaginaria. Francamente mi sembra ieri che se ne è andato, che non è più qui. Lo sento vivo, vivissimo, infatti è vivo nella sua arte, nei suoi film, in tutti i teatri che lo hanno conosciuto. Lui, il mattatore, come in parecchi lo definivano, dopo l’omonimo spettacolo che condusse in televisione nel 1959.
Quando mi è stato chiesto di fare un’intervista a Luchino Visconti, assolutamente immaginaria perché morì a Roma il 17 marzo 1976 (non ancora settantenne, essendo nato a Milano il 2 novembre 1906), l’idea di incontrarlo era emozionante, un vero privilegio poter parlare con un maestro, un importante e indimenticabile uomo di cultura del Ventesimo Secolo,