POLITICA
LA PORTA STRETTA DEL PACIFISMO ITALIANO
Massimo Rostagno
Di fatto la Russia sta perdendo il conflitto che essa stessa – sbagliando clamorosamente i calcoli – ha scatenato.
L’ annunciata manifestazione del 5 novembre chiederà con forza la fine del conflitto in Ucraina. Stando ad uno dei suoi ispiratori, il direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio, l’obiettivo è quello di modificare lo schema di pensiero prevalente, imponendo con la testimonianza visibile di migliaia di cittadini un rovesciamento del paradigma fin qui seguito: la fine immediata del massacro di vite umane deve diventare il prius, e tutto il resto venire dopo. Si coglie la predicazione di Papa Francesco che – come Benedetto XV con la sua denuncia dell’’inutile strage’ della prima guerra mondiale – rappresenta la voce più forte e autorevole a sostegno di questa impostazione. La notizia è buona, naturalmente. Avere migliaia di cittadini che manifestano per la pace è certo preferibile alle “radiose giornate di maggio” del 1915 quando – per rimanere nel parallelismo storico – la piazza premeva chiedendo “guerra” al Parlamento italiano. Il valore della pace non richiama soltanto il dettato costituzionale, ma anche la natura profonda dell’Unione Europea, che concepisce sé stessa più come luogo di risoluzione pacifica dei conflitti che come strumento bellico e militare, più come Venere che come Marte. Tutto bene, dunque? Bene, ma non benissimo, in realtà. Dietro l’annunciata manifestazione emergono infatti contraddizioni tutt’altro che risolte. Fino a quando si manifesta per il valore universale della pace, l’accordo è unanime. Ma se lo si cala nel concreto della situazione reale le cose si complicano e le opzioni si moltiplicano. Fermo restando l’obiettivo della pace, si aprono divaricanti e drammatiche alternative sui modi per ottenerla. La premier finlandese Sanna Marin, con la brutale capacità semplificatrice dei nordici, ha espresso una posizione molto chiara: l’unica via per la pace è che i carri armati russi ingranino la marcia indietro e lascino il territorio dell’Ucraina che hanno proditoriamente invaso. Si può essere d’accordo o meno con lei, ma non c’è dubbio che colga il nocciolo della questione. Ed è proprio su questo che la manifestazione per la pace ed in generale il pacifismo nostrano appaiono reticenti, se non addirittura ambigui. Dando atto ad Avvenire e al suo direttore di aver assunto e coerentemente ribadito la stessa posizione fin dai primi giorni del conflitto, pare legittimo chiedersi perché una manifestazione così importante avvenga soltanto adesso, a più di otto mesi dallo scoppio della guerra. Perché non dopo un mese, o due, quando erano già chiarissimi sia gli enormi costi umani che il quadro delle responsabilità? Di quelle prime settimane si ricorda un grande affannarsi da parte di numerosi intellettuali e personaggi pubblici alla ricerca delle giustificazioni di Putin: le colpe della Nato, l’aggressività dell’Occidente, il legittimo diritto della Russia a difendersi dall’accerchiamento, quando non addirittura la bufala del neonazismo incarnato dal governo ucraino. Si ricorda l’invito – esplicitato dall’ allora onnipresente professor Orsini – agli ucraini ad arrendersi subito per evitare un bagno di sangue al loro popolo, riconoscendo la superiorità militare dell’esercito russo. Da allora molte cose inattese sono accadute: l’esercito invasore non è quella macchina da guerra temibile che si immaginava; la resistenza dell’Ucraina si è mostrata più efficace del previsto; l’Europa e il mondo occidentale, sulla cui divisione Putin contava, è riuscito a mantenere una sostanziale compattezza; la finzione della ‘operazione speciale’ organizzata dal regime putiniano si è sciolta come neve al sole, trasformandosi per cause di forza maggiore in ‘mobilitazione parziale’; l’entusiasmo dei cittadini russi nell’andare a combattere in Ucraina si è eloquentemente espresso nella fuga di qualche centinaia di migliaia di giovani dal paese.
In definitiva, l’avventura ucraina si sta rivelando per Putin e il suo regime ancora peggio di una catastrofe. Si è rivelata un errore. La stessa minaccia dell’atomica pare esprimere più debolezza che forza. Di fatto la Russia sta perdendo il conflitto che essa stessa – sbagliando clamorosamente i calcoli – ha scatenato. È questo il contesto in cui va a calarsi la manifestazione pacifista del 5 novembre. Data l’importanza dell’evento sarebbe opportuno chiarire almeno alcune delle ambiguità che al momento appaiono irrisolte. Intanto, la responsabilità della guerra sta in chi l’ha scatenata e non in chi l’ha subita. Confondere l’aggressore con l’aggredito è sollevare una cortina fumogena in cui la stessa celebrazione del valore della pace rischia di annebbiarsi. Come mai qualcuno dei più entusiasti aderenti alla manifestazione si è rifiutato di andare a protestare nei giorni scorsi di fronte all’ambasciata russa? Come è possibile che ancora oggi il professor Cardini – uno dei più convinti ‘putiniani’ d’Italia – scriva che occorre andare oltre lo schema aggressore/aggredito perché riduttivo? E che bisogna riconoscere le famose ”ragioni dei Russi” se si vuole davvero la pace? Si chiarisca meglio che cosa significa “andare oltre lo schema aggressore/aggredito” perché così sembra che la responsabilità del massacro in corso sia dei soldati ucraini che si stanno difendendo troppo bene, e non di chi ha invaso il loro paese. Occorre dire che Papa Francesco ha sempre tenuto molto ferma questa distinzione, che invece pare sfumare in altri che al suo magistero si rifanno. La complessità della storia, l’intreccio delle cause e delle motivazioni possono essere anche oggetto di dibattito accademico e storiografico, ma nella politica internazionale devono lasciare il posto alla limpidezza del diritto, alla nettezza dei Trattati. Sono questi a definire il perimetro di ciò che è accettabile o no da parte degli Stati. I Trattati – peraltro firmati dalla stessa Federazione russa e non dall’URSS – che sancivano la sovranità e indipendenza dell’Ucraina già a partire dagli anni ’90 non possono diventare un dato accidentale, perché è proprio il diritto positivo a tracciare il discrimine tra civiltà e barbarie. Poi c’è il punto cruciale delle armi. Di nuovo non si può confondere il loro uso da parte di chi aggredisce con quello di chi si difende. E proprio le armi inviate agli ucraini hanno consentito che una brutale aggressione in sfregio della legalità internazionale si potesse consumare con un successo degli aggressori. Che senso ha chiederne l’immediata sospensione? In ultimo, la pace è un valore strategico. Non basta guardare all’oggi, occorre l’occhio lungo. Ce lo insegna la storia. L’arrendevolezza di Chamberlain a Monaco gli ha consentito di tornare in patria acclamato come il grande difensore della pace in Europa. Era l’appeasement. Passarono pochi mesi e quel trionfo si rivelò tanto fasullo da generare la più grande catastrofe mai vista nella storia umana. C’è qualcuno che si interroga sulle conseguenze per la pace in Europa e nel mondo se l’azione russa non fosse adeguatamente contrastata? Non implicasse un costo alto da pagare o addirittura comportasse un premio? Qualcuno che si chieda se la ‘comprensione delle ragioni dei russi ‘ non possa trasformarsi nell’avallo della comunità internazionale a riproporre lo stesso comportamento, magari con la Lituania, o l’Estonia o la Moldavia? In quel caso che fine farebbe la pace mondiale? Gli organizzatori della manifestazione renderebbero ben più potente la loro voce se chiarissero queste ambiguità. Superare il dubbio che il pacifismo italiano sia a senso unico e si mobiliti soltanto contro gli USA è la porta stretta da attraversare. Siamo di fronte ad un turbamento vero, ad una apprensione profonda dei cittadini: soltanto una manifestazione limpida e priva di ambiguità può esprimerli nel modo più credibile ed efficace.